Note di copertina dal cd "GIUSEPPE ANEDDA e UMBERTO LEONARDO" 

Le ragioni per le 

quali si è inteso pubblicare questo CD a distanza di ben 14 anni e a due  dalla scomparsa (nel luglio del 1997) di Giuseppe Anedda, sono fondamentalmente due: la prima è di carattere essenzialmente artistico, poiché sia Anedda che io abbiamo voluto riascoltare per molte volte 

la registrazione 

"live" di questo concerto,valutando anche gli aspetti 

tecnici inerenti comunque a una ripresa sonora in diretta ( rumori, applausi fuori tempo e via dicendo ), per avere poi alla fine un risultato che soddisfacesse le nostre esigenze artistiche e strumentali. Certo, nell'arco dei 14 anni, ci sono stati tanti motivi, da una parte e dall'altra, che hanno giustificato questo lungo periodo di " silenzio discografico " e che è inutile qui considerare perché rientra nella sfera soggettiva di ogni artista e quindi pienamente rispettabile. La seconda ragione è stata motivata dai numerosi incontri che ho avuto con " Pippo " ( come affettuosamente si faceva chiamare Anedda dai suoi più intimi amici ), e ancor di più determinato a portare a conoscenza del pubblico praticamente l'ultimo concerto che il grande mandolinista ha eseguito in teatro, una splendida testimonianza della sua grande arte di esecutore e di musicista.  Il ricordo incancellabile di quella serata magica e irripetibile per me, che ho voluto fortemente questo " Concerto live " mi ha sempre accompagnato nella mia quotidianità, da quando conobbi Anedda nell'estate del 1985 ad Assisi, dove lui teneva dei corsi di perfezionamento, e in quella occasione gli proposi di realizzare un duo di mandolino e chitarra, valorizzando un repertorio per troppo tempo dimenticato e poco eseguito. Si generò un " feeling" accattivante e misterioso per entrambi. Giuseppe Anedda , che mai aveva voluto suonare in duo con la chitarra, accettò con grande slancio, ben consapevole di una futura intesa umana e artistica…  Vi sono sensazioni, espressività, atteggiamenti poetici che restano incisi per sempre nella memoria dell'uomo, e il duo Anedda-Leonardo si produceva in esecuzioni indimenticabili per pensiero, per qualità di suono, per vigoria. Tutto era seducente, le nostre tematiche interiori piene e corpose, dette con grande intuito, freschezza, disciplina e tutte quelle qualità " altre " che ne determinano l'artista totale. La musica trascendeva lo strumento per collocarsi alta in una assoluta idea di poesia… Inevitabilmente mi tornano alla memoria i termini di paragone con i " grandi "; la figura del mio amico Pippo continua ad essere un riferimento illuminante di vita e di cultura.




JOHANN ADOLPH HASSE ( 1699-1783 )- revisione per mandolino e chitarra di Siegfrid Behrend 
Il compositore tedesco subì notevolmente l'influenza dell'opera napoletana, in quanto nel 1722 si recò a Napoli per studiare con Nicola Porpora e Alessandro Scarlatti. Considerato il massimo esponente dello stile dell'opera seria italiana del Settecento e soprannominato il " caro ( o divino ) sassone ", Hasse fu uno dei compositori più prolifici del suo tempo. Oltre ai 50 Melodrammi, 11 Oratori, moltissima musica sacra, cantate corali e monodiche, egli ha composto questo bellissimo Concerto il SOL Maggiore per mandolino, due violini, violoncello, liuto, chitarra e contrabbasso. In questo brano, trascritto ed elaborato per mandolino e chitarra, si ritrova una grande abilità nel fondere la severità di linguaggio appresa in Germania con la vena melodica tipica dell'opera e della musica napoletana.

LUDWIG VAN BEETHOVEN ( 1770-1827 )-revisione per mandolino e chitarra di S. Behrend
Quando si parla di compositori così importanti come Beethoven e , soprattutto quando si prendono in considerazione le cosiddette " opere minori ", come il brano in questione, appunto, di carattere celebrativo o di convenienza commerciale, generalmente si ha la tendenza a spendere fiumi d'inchiostro per cercare di trovare il perché e il per come l'autore abbia composto questo pezzo o chissà quale tormento interiore si sia impadronito della sua anima nel momento in cui gettava lì sul pentagramma le prime note dell'Andante. E quindi non come critico, ma come concertista e interprete della suddetta opera, dirò solo che, se l'Andante con variazioni rientra tra i numerosi brani minori che il compositore tedesco ci ha lasciato, che ben vengano allora, tutte le innumerevoli composizioni ( e non solo di Beethoven ) forse ancora oggi tutte da riscoprire e rivalutare, nel pieno rispetto dei manoscritti originali e delle relative trascrizioni ( in questo caso, è la sola parte di chitarra a essere elaborata, dato che il pezzo originale è per mandolino e cembalo ). Va detto, comunque, che l'Andante con variazioni è un piccolo gioiello che fa parte di quel ventennio ( 1795-1815 ) così fervido e felice nella cui sintesi, alla fin fine, prevale la " creatività totale " di Ludwig Van Beethoven.

CARLO MUNIER ( 1859-1911 )- Capriccio spagnolo op.276
Con Raffaele Calace, Carlo Munier è stato uno degli autori più importanti della letteratura mandolinistica, nonché un apprezzato didatta e un valoroso concertista. Le sue opere riflettono una musicalità limpida, lineare e cristallina, come questo affascinante Capriccio spagnolo, in cui il mandolino raggiunge vette virtuosistiche strabilianti, mentre la chitarra la asseconda con discrezione senza però rinunciare a piccoli e intensi dialoghi: il tutto permeato da seduzioni iberiche accattivanti, come nel finale, dove ai violenti " rasgueados " della chitarra si contrappone il " plectrum " forte e vitale del mandolino di Giuseppe Anedda.

UMBERTO LEONARDO ( 1954 )- Algeciras
Non è facile parlare di una propria composizione, a maggior ragione se l'autore ne è anche l'interprete. Algeciras, comunque, ha il carattere di una " riflessione musicale " tipicamente " flamenchistica ", quindi con i dovuti metri di valutazione che si allontanano un po' dalla compostezza formale e dalla " serietà " prettamente classica. I " giochi tecnici " che si possono ottenere da questo tipo di musica così , direi, primitiva sono innumerevoli ( ma ci deve essere a priori una solidissima base tecnica ) , e per quanto tutto sia stato scritto meticolosamente sulla partitura, mi è stato quasi inevitabile spaziare e improvvisare direttamente in concerto. Ed è quanto mi è accaduto nella serata in questione: a un certo punto, soprattutto nel finale, mi sono lasciato andare e, se questa può essere una riprova del fatto che la musica gitana ti prende in " toto ", ebbene io penso che ci sia riuscito, forse in parte, a estraniarmi dalla mia cultura prevalentemente " seria ", ed essermi liberato, in quel momento, da schemi binari o ternari che dir si voglia, e aver sentito il bisogno di " jouer " all'infinito.

ANTONIO VIVALDI ( 1678-1741 )- elaborazione per mandolino e chitarra di Umberto Leonardo
Famoso per le sue " Stagioni ", ha scritto tre concerti per mandolino: uno in DO Maggiore con due mandolini; un altro in SOL Maggiore, sempre per due mandolini, e ancora il Concerto in DO Maggiore ( il brano in questione ) per un mandolino, archi e basso continuo. In questo concerto ( in tipica forma tripartita: Allegro, Largo, Allegro ) e composto per il marchese Guido Bentivoglio di Ferrara, il merito di Vivaldi è stato soprattutto quello di aver trattato, di aver lavorato proprio sulla vera natura del mandolino, dandogli una veste solistica dignitosa e riguardevole. Ciò spiega anche perché Vivaldi, che era un violinista eccelso, usasse il mandolino napoletano, che è accordato come il violino, dimostrando una perizia straordinaria e una acuta lungimiranza nei confronti di questo strumento.

RAFFAELE CALACE ( 1863- 1934 )- Preludio n. 2 op. 49
Uomo di fecondo ingegno e di natura creativa, artista completo, sentì il bisogno di svincolare il mandolino dalla necessità di utilizzare la musica creata per altri strumenti che non dava i risultati adeguati a mettere in rilievo le speciali virtù dello strumento e sfruttarne al massimo le capacità sonore, come egli desiderava. Fu lui a prolungare la tastiera fino al ventinovesimo tasto e la cassa ebbe formato più grande per ottenere il mandolino da concerto che potesse superare tutte le difficoltà tecniche e speciali di tali strumenti; in pratica Calace è stato il padre del mandolino moderno, come viene ancora oggi costruito. Fra le sue innumerevoli composizioni ( nonché trattati didattici, tuttora usati ) si evidenzia il Preludio n. 2 op. 49. In questo autentico pezzo di bravura, è richiesta anche una grande musicalità dell'interprete, e io penso che Anedda non solo abbia superato entrambe le prove, ma ci ha lasciato una lettura superlativa e trasparente fedele agli intenti dell'autore. Una ulteriore prova, la sua, di aver voluto affrontare in pubblico, alla venerabile età di 76 anni, uno dei brani più belli e più riusciti di Raffaele Calace.

VITTORIO MONTI ( 1868-1922 )Czardas-elaborazione per mandolino e chitarra di Umberto Leonardo 
Questo celeberrimo brano pare sia stato scritto originariamente per mandolino, e non per violino. Di questo parere è anche Giuseppe Anedda, il quale è convinto di questa affermazione in base, anche, a ricerche condotte personalmente. A prima vista, le difficoltà tecniche che si incontrano in questo pezzo musicale, sono più violinistiche o sembrano tali; ma è pur vero che, in una ulteriore attenta visione del brano ci si accorge che queste difficoltà sono anche e proprie del mandolino, inteso chiaramente come strumento serio; e se si prendono in esame certi componimenti musicali ottocenteschi di Calace o di Munier, si noterà come la scrittura mandolinistica sia molto più ardua, tecnicamente parlando, di questa Czardas. E' altresì vero che, forse, per la carenza di virtuosi del mandolino nell'epoca dell'autore, si sia preferito " adattare " il brano per violino, anche, se non soprattutto, per farlo conoscere e apprezzare presso il grande pubblico. Comunque sia, la resa strumentale è stupefacente, pure in virtù di questa trascrizione dal pianoforte alla chitarra, creando una felice simbiosi sonora. 


Note di copertina dal cd " EWA MALAS GODLEWSKA-UMBERTO LEONARDO"

I criteri di scelta e di valutazione che mi hanno indotto a trascrivere, ed in parte elaborare, le opere in questione dal pianoforte alla chitarra, nascono prima di tutto dal felice incontro con Ewa Malas Godlewska e dal nostro comune amore per le musiche spagnole che, come ben si sa, sono ricche di passionalità e sensualità e benché mettano a dura prova non solo qualunque chitarrista, ma anche un certo tipo di vocalità. Pur essendo in linea di massima contrario alle trascrizioni che potrebbero non rispettare fino in fondo le intenzioni del compositore, in questo caso il nostro duo ha dimostrato una bellezza e una personalità prorompenti in quanto anche Ewa si è proposta con animo differente, con una nuova sonorità e una particolare timbrica. Il primo brano di Rodrigo " De los àlamos vengo, madre ", col suo andamento allegro e quasi spensierato, denota all'inizio un particolare movimento dei bassi con quinte giuste e settime minori poggiate sulle tonalità di LA Maggiore e di MI Maggiore, mentre la melodia del canto si libera pura e semplice risolvendo le sue quintine sulle triadi della chitarra. " Con què la lavare " e " Vos me metasteìs " ci troviamo di fronte a due momenti intimistici nei quali la struggente melodia ben si associa al carattere strumentale di appoggio e di risposta alla voce. Suoni caldi e pastosi, solari e maestosi e, al tempo stesso cupi e venati di una sottile malinconia. " De donde venìs amore " respira un'aria tipicamente settecentesca con relativi momenti prettamente spagnoli. Qui l'autore ha saputo ben miscelare le correnti musicali con arguzia e ironia. " Saeta " di Turina è una preghiera a La Virgen de la Esperanza. Una bellissima melodia in cui gli accordi stratificati della chitarra completano l'intimo e struggente canto. " Cantares ", ha decisamente il vero carattere spagnolo. Infatti la voce, dopo un'introduzione chitarristica, attacca con il tipico monosillabo " aj " e usa le parole di Turina " con sentimiento popular". Di Manuel De Falla proponiamo " Asturiana " dalle " Sette canzoni popolari ", dove il canto misterioso si associa ad un lento e martellante fraseggio di note uguali e ribattute in cui la sola dinamica strumentale della parte bassa fa da contrappunto alla voce, il tutto su un tessuto melodico e strutturale che mette in risalto l'armonia del canto. In " Farruca " di Turina, la voce " declama " i versi. Un brano di intensità emotiva quasi unica. Accordi strappati e ricuciti subito dopo con intervalli di quinte e seste alternate per poi esplodere in violenti " rasgueados ". Il canto s'infiamma, si riposa, riattacca furiosamente e risolve con vertiginose scale ascendenti e discendenti. Il finale è come un monologo pensato e attuato nella sua essenza tipicamente iberica. Fernando Obradors è l'autore delle " Sette canzoni classiche spagnole ". Pur non essendo molto conosciuto ( ma non per questo meno valido degli altri autori di questo cd ) il suo stile è prevalentemente classico e lirico. Evidentemente influenzato da un certo tipo di scuola francese, Obradors si attiene però alla sua salda conoscenza della musica spagnola, concedendo alla voce molta grazia e libertà di espressione. Heitor Villa-Lobos, compositore brasiliano per eccellenza, è autore di innumerevoli opere strumentali. " Bachianas brasileiras n. 5 " si ispira chiaramente alla musica di Bach. Composizione dalle forti influenze europee, originariamente per voce e otto violoncelli è arrangiata dallo stesso Villa-Lobos per voce e chitarra. L'innesto che si crea fra lo strumento e il canto ha davvero qualcosa di magico. Una linea melodica che ricerca un'ideale fusione tra l'universale linguaggio bachiano e le melodie popolari, una " saudade " a tutto campo, dove la forte presenza impressionista dell'autore trova terreno fertile alla sua genialità e dove la chitarra ha una parte non tanto di accompagnamento quanto di amalgama alla splendida parte vocale.

Umberto Leonardo


 

Note di copertina dal cd " IL BALLO DELLA TARANTOLA

Tutto nasce da quel lontano " Concerto di natale" del 1988 di Roberto De Simone, in cui vi era inserita la tarantella " Il ballo della tarantola", che io eseguii dal vivo per dieci sere consecutive al Teatro Mercadante di Napoli. Dopo alcuni anni, durante i quali ho sperimentato la mia musica in diversi lavori teatrali, cinematografici e discografici e dove non ho mai reciso il cordone ombelicale che mi unisce profondamente alla musica popolare e tradizionale, ho deciso, dato che il ricordo di quello spettacolo si faceva sempre più vivo, di partire da quella " tarantella" per sperimentare sulla stessa base orchestrale ( cioè un pizzicato d'archi ), le varie possibilità tecniche, timbriche e percussive della chitarra, spinte fino al limite " esasperato ". E sono nati nove " antidoti ", ovvero nove variazioni, preceduti da nove interludi per sola chitarra su di una ossessiva tematica musicale. Le indagini condotte dai musicologi, primo fra tutti lo stesso De Simone, dimostrano che una caratteristica forma di tarantella era praticata a Napoli già nel 1600 per curare gli stati di possessione causati dal morso ( vero o presunto ) della tarantola, come si evidenzia da due documenti storici recentemente messi in luce. Il primo è un disegno di Willem Schellinks che, in occasione di un suo viaggio a Napoli , ebbe modo di assistere alla danza di una giovane tarantata; e il secondo documento è conservato al Santuario di Madonna dell'Arco presso S. Anastasia (Napoli), dove su di un " ex voto " pittorico della seconda metà del Seicento, è effigiato un pescatore in stato di possessione in atto di danzare la tarantella, e a sinistra del quadretto, vi è una donna in ginocchio che prega la Madonna dell'Arco affinché liberi l'invasato dalla mania coreutica che lo possiede. La vera tarantella napoletana , di fatto, si articolava secondo un giro armonico di tipo rinascimentale, sul quale poggiavano i disegni melodici del violino, i quali facevano capo ad antiche e arcaiche modalità orientali. E proprio il violino presenta tutti e nove gli " antidoti ", lasciando poi il campo alle fantastiche evoluzioni della chitarra, per poi suonare da solo nel " respiro della tarantola " e quindi nel " tango " ; un finale che sembrerebbe estraneo alla tarantella, ma che è legato invece, seppur in altre forme musicali, alla " forza primitiva " che unisce la cultura e la tradizione dell'uomo.

Umberto Leonardo


Note di copertina dal cd " MARAMME' "

Con l'opera " Maramme' ", nata da un testo teatrale di Rosario Salvati, ho adoperato volutamente un linguaggio musicale demoniaco e trasgressivo, seppur trasparente, in cui le stesse definizioni dei vari brani riflettono una ricerca estetica dell'animo umano nei suoi vari aspetti caricaturali e grotteschi. La linea vocale prevalentemente intimistica ( le uniche parole usate sono " maramme' e " alleluja ") si colloca come passaggio alternativo ai colori aulici degli strumenti e insieme generano una coralità ove abita uno spirito intrigante e ossessivo.

1) Pizzicando ( allegro giusto)
2) Le voci bianche ( larghetto )
3) La festa in piazza ( allegro spiritoso )
4) La favola incarnata ( adagio riflessivo ) 
5) Il gioco delle palle ( allegro con brio ) 
6) La solitudine crudele ( lento )
7) Il divertimento del bambino ( animato, con ritmo ) 
8) Il girotondo delle lune ( andante mesto )
9) La bellezza punita ( largo moderato e intenso- andantino )
10) Il desiderio bruciato ( adagio espressivo- allegro energico )
11) La pelle d'oca ( moderato, quasi una fuga )
12) Lo scandalo innocente ( allegro primitivo )
13) Il riposo del fato ( calmo e tranquillo )
14) Annunciando Maramme' ( allegretto giocoso )
15) La tela del paradiso ( andante con moto )
16) Il vicolo cieco ( allegro con fuoco )
17) La metamorfosi strappata ( moderato, un poco mosso )
18) I colpi della mente ( largo espressivo )
19) Alleluja ( meditativo )